Il frate francescano che perdonò Re Federico IV
C’è il perdono di Dio e quello degli uomini, che quasi mai l’accordano.
Nella religione cattolica dopo la confessione al sacerdote dei propri peccati c’è l’assoluzione dalle proprie colpe e quando questi pronunzia la formula “Ego te absolvo a peccatis tuis in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. Amen” ci si riconcilia con Dio attraverso la penitenza, che ripara offese, torti gravi e meno gravi e persino mortali.
Nelle altre religioni monoteiste non vi sono intermediari e il peccatore è solo al cospetto di Dio: nell’ebraismo, ad esempio, c’è la “teshuvah” che è il ritorno alla purezza e non solo richiesta di perdono, decisione di cambiamento e volontà di prendere una nuova direzione. Insomma, sbagliare è, dunque, umano mentre perdonare è divino. Lo stesso perdono che concesse divinamente Fra Simuni a Re Federico IV, quasi per ironia, colpevole di aver assolto a sua volta numerosi assassini e briganti. Ma il frate francescano di Lentini (Sr) oltre ad esser confessore e regio cappellano ebbe altri interessi, che ancor oggi ci spingono a parlare di lui.
Fu poeta, probabilmente in vernacolo, e padre de La conquesta di Sichilia scritta a Cefalù nel 1358 in volgare siciliano. Questa l’opera sua più nota, fu in grado di tradurre dal latino la cronaca della conquista Normanna dell’isola di Goffredo Malaterra, “a lode di Dio onnipotente” e per l’utilità dei lettori né omette e né riassume alcune parti, spesso integrando il racconto storico con sue osservazioni o utilizzando fonti diverse.
La conquesta non fu una semplice traduzione ma anche un rimaneggiamento abbastanza libero della cronaca, condotta secondo criteri influenzati dalla situazione culturale e politica del tempo, oltre che dalla personalità di fra Simuni. Gli interessi storiografici del francescano non possono che innestarsi su suoi convincimenti religiosi. L’opera di fra Simuni viene allora ad essere un ammonimento nei confronti della corte, nell’ambito della quale essa, senza il ripristino degli ideali religiosi, non si sarebbe liberata dalla crisi dinastica e la precaria situazione politica e sociale che attanagliava l’isola dalla morte di Federico III in poi.
Bibliografia