Ci mancherà Manlio Sgalambro; ci mancherà leggerlo, ascoltarlo, percepirlo nuovamente nella sua profondità. Difficile parlarne, specie per un giovanissimo, il quale sa che parlarne è imbattersi in una maschera profonda, dolorosa, disincantata e vera; una maschera che si rivela per la prima volta con la presentazione de La morte del sole negli anni ’80, proprio nel suo paesello natìo: Lentini, antica colonia calcidese e patria del sofista Gorgia. Le sue parole hanno graffiato la nostra identità. Si pensa a Del pensare breve (1991) e La conoscenza del peggio (2007). In quest’ultimo libro si esplica l’intuizione chiave del suo intero corpus di opere difficilmente catalogabile anche solo nella tanto decantata leopardiana e generica etichetta di nichilismo:
All’uomo non conviene considerare, riguardo a sè stesso e riguardo alle altre cose, se non ciò che è l’ottimo e l’eccellente; e inevitabilmente dovrebbe conoscere anche il peggio, giacché la conoscenza del meglio e del peggio è la medesima.